Trigger Point: ti sarà capitato di sentire questa parola e magari di esserne insospettito, oltre ad associarla al dolore. Oggi siamo pieni di parole inglesi, in effetti, ed è altrettanto vero che Trigger Point e dolore vanno di pari passo. Non spaventarti, però: in questo caso la traduzione dall’inglese è semplice e il dolore può essere visto come una fase di transizione verso la guarigione. Noi di FisioMediGroup, in particolare grazie all’esperienza del dottor Francesco Di Noi, lo sappiamo bene. Adesso ti spieghiamo in breve cosa sono i Trigger Point.
Punti grilletto
Trigger, in inglese, sta per grilletto. Partendo da questa metafora, nel 1943 la dottoressa Janet Travell definì come “punti grilletto” masse e noduli dolorosi percepiti all’interno delle bande tese di un muscolo.
I Trigger Point, dunque, sono delle zone di muscolatura o fascia che risultano dolorose alla palpazione. Dei singoli punti, dei veri e propri nodi appunto, che “premuti” danno il segnale di una contrazione patologica continua (iperalgesia, come vedremo in seguito).
In questi nodi il dolore è acuto, ma molto spesso viene da altre zone del corpo. In altri termini, il dolore è irradiato da zone del tuo corpo limitrofe rispetto all’area in cui è situato il punto grilletto. Il che molto spesso può ingannare e portare ad autodiagnosi sbagliate, oltre a indurre lo stesso corpo a “compensare” per limitare il dolore. Per farla breve, insomma: non è importante dove senti dolore, ma capire cosa lo provoca.
Cause e sintomi
I fattori che portano al dolore sono riconducibili a diverse cause. Ad esempio:
- Una condizione di stress prolungata
- Iperstimolazione a livello neurologico
- Un’eccessiva liberazione di ioni calcio o acido lattico
- Pressione alta
- Sforzo fisico eccessivo e ripetuto nel tempo
Quanto ai sintomi, va detto che il dolore associato ai Trigger Point varia anch’esso in base a diversi fattori. Tra questi: la zona in cui si trovano i nodi, la loro tipologia e quantità, il muscolo coinvolto nonché il livello di cronicizzazione.
In generale, il dolore è causato dall’eccesso e accumulo di “rifiuti tossici” che irritano le nostre terminazioni nervose. Tra i sintomi, dunque, troviamo: dolori lombari, sciatica, cervicalgia, emicrania e mal di testa cronico, distorsioni, dolori articolari o muscolari, diminuzione della forza e senso di stanchezza permanente.
Adesso, prima di capire come e quando trattarli, diamo un’occhiata ai diversi tipi di Trigger Point.
Tipologie di Trigger Point
Ogni Trigger Point ha caratteristiche proprie. I Trigger Point primari sono quelli “classici”, che in genere un paziente individua e riconosce con più facilità. Quelli secondari, o satelliti, si creano nei muscoli attorno al Trigger Point primario – che resta il primo da trattare. Abbiamo poi i Trigger Point nei punti d’attacco, cioè nei punti tendinei, e quelli diffusi, collegati cioè a un’ampia parte del corpo e spesso a deformità posturali (la scoliosi, esempio classico). Infine abbiamo i Trigger Point attivi – li riconosci già alla palpazione – e quelli latenti, che non danno dolore ma provocano rigidità muscolare. Ciò significa che possono attivarsi in seguito a opportune stimolazioni.
Terapia
Quando parliamo di cura dei Trigger Point ci riferiamo a una terapia miofasciale, una terapia che si interessa cioè alla fascia che riveste il muscolo. Prima di iniziarla, noi di FisioMediGroup studiamo a dovere la situazione. Prima di tutto parliamo approfonditamente col paziente per cercare di capire se l’iperalgesia – il dolore che aumenta patologicamente – non lo ha ingannato. In seguito cerchiamo di localizzare il punto grilletto con la valutazione muscolare. Ovvero: si indagano movimenti e si cercano perdite di forza di un muscolo fino a individuare il responsabile del dolore miofasciale, per poi passare alla palpazione delle bande tese. E siamo al trattamento.
Se la diagnosi miofasciale è corretta, col trattamento giusto del Trigger Point il dolore potrebbe scomparire all’improvviso. Non si tratta di magia, ovviamente, quanto dell’esperienza e della sensibilità del fisioterapista che sceglie il trattamento più opportuno in base alla condizione del paziente.
Esistono diverse tecniche e trattamenti per trattare un Trigger Point. Vediamone un paio, senza dimenticare onde d’urto, Tecar Terapia e ultrasuoni:
Massaggio: è la tecnica più antica. Fondamentale è l’esperienza del fisioterapista, che sceglie la zona in cui effettuare il massaggio. La zona può essere più o meno ampia, il che può compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di diminuzione e neutralizzazione del dolore.
Digito pressione (o compressione ischemica): è la tecnica più veloce e più utilizzata, anche se provoca ovviamente dolore nel paziente. Una volta individuata la banda tesa si procede con la pressione. L’obiettivo è trovare un’ischemia temporanea nella zona, mantenendo la pressione finché il dolore non si riduce dell’80%. La manovra si ripropone altre due o tre volte fino a registrare un cambiamento nella sintomatologia.
Quanto alla Tecar Terapia, ne abbiamo parlato a proposito di fisioestetica. È bene ricordare, comunque, che è il terapista a scegliere il trattamento più adatto solo dopo un’attenta analisi della situazione del paziente. L’analisi inizia con l’ascolto e con l’indagine del dolore, perché – come abbiamo detto – il Trigger Point può ingannare.
In generale, il trattamento del Trigger Point dev’essere inserito in una più ampia visione generale di salute e benessere del paziente: una cosa che non ci stancheremo mai di ripetere.